Progetto “SicurA” – Filiera Agrumicola

N.B.: Le informazioni di seguito riportate si riferiscono all’epoca di realizzazione del progetto.

L’ORGANIZZAZIONE

Al pari degli altri settori agro-alimentari l’industria agrumaria è stata interessata, nel corso del tempo, da incisivi fenomeni evolutivi originati da continui cambiamenti nei modelli di consumo, dai mutamenti nelle politiche commerciali, dalle scelte di politica economica (soprattutto a livello di CEE), dal flusso di innovazioni tecnologiche nel processo di produzione e trasformazione del prodotto. Fenomeni, questi, che hanno contribuito ad imprimere forte dinamismo alla struttura e alla organizzazione della compagine industriale, soprattutto quella di trasformazione. Lo sviluppo delle tecnologie produttive e l’incremento dei volumi di materie prime trasformate le hanno permesso di fare da traino per l’intero sistema agro-industriale. La fase di trasformazione degli agrumi infatti, consente sia di mitigare gli effetti negativi di quella frazione di prodotto di qualità scadente (che nel mercato della frutta fresca avrebbe uno scarso valore), sia di produrre derivati in grado di soddisfare le richieste del mercato.

Fonti ISMEA rilevano che nel 2000 in Italia la superficie coperta dedicata alla produzione di agrumi era pari a 179.911 ha, per una produzione complessiva pari a 2.996.000 t (1.850.000 arance, 153.000 mandarini, 455.000 clementine, 538.000 limoni); di questa, 1.255.732 t (quasi il 42%) sono state destinate all’industria di trasformazione (con un calo dell’8% rispetto alla campagna 1999/2000).

Tabella 1: Quantità di agrumi destinati all’industria di trasformazione (fonte ISMEA)

In questo contesto a svolgere un ruolo leader è il Mezzogiorno d’Italia: in particolare la Calabria e la Sicilia.

La Sicilia produce il 50% della totalità delle arance prodotte in Italia seguita dalla Calabria con il 35%, mentre la restante parte viene prodotta per lo più dalla Puglia.

Andamento analogo si ha per i mandarini: la Sicilia ne fornisce circa il 60%, la Calabria il 25%. La produzione di clementine, al contrario, vede la Calabria quale maggiore produttrice col 67% sul totale, seguita dalla Sicilia, 12%, e dalla Puglia,11%.

Per i limoni la produzione siciliana, una delle migliori al mondo (da sola ne produce l’87% del totale nazionale), rischia il tracollo a causa del mancato rinnovo degli impianti e della carenza di adeguato approvvigionamento idrico.

A fronte di tutti questi dati, inoltre, bisogna evidenziare la caduta verticale del numero di imprese operanti nell’ambito della trasformazione degli agrumi, tenuto conto, in base a documentazione ufficiale, che si è passati da 242 industrie nella campagna 88/89 (Safina, 1992) a 106 nel 98/99; flessione che ha riguardato in maniera analoga sia la Calabria che la Sicilia, le regioni in cui si concentra il 90% dell’industria agrumaria di prima trasformazione del Paese.

Le industrie ancora in attività in Calabria nel 1999 erano 56 a fronte delle 44 in Sicilia e delle 4 in Campania.

Un cenno merita poi, la produzione di bergamotto, agrume tipico e quasi esclusivo della provincia di Reggio Calabria, da cui si ricava un olio essenziale impiegato come componente principale nelle industrie profumiera, farmaceutica e alimentare. Anche il suo comparto ha subito una imponente crisi dovuta essenzialmente a problemi di organizzazione del mercato, a elevati costi di produzione e alla concorrenza operata da prodotti sintetici.

LA SICUREZZA

Lavoro, salute e ambiente rappresentano le esigenze essenziali della persona umana e come tali sono costituzionalmente promossi e tutelati; è d’obbligo quindi che la sicurezza nel luogo di lavoro assuma un ruolo rilevante, così da fornire quel benessere psico-fisico che è fondamentale nel corso dell’attività lavorativa. Così come il lavoro rappresenta uno dei fattori fondamentali per la realizzazione della personalità dell’individuo, nello stesso tempo da esso possono derivare malattie o comunque danni le cui principali cause sono da ascriversi alla sua stessa natura, alla carenza dei mezzi di protezione, alle condizioni ambientali, alle caratteristiche psicofisiche del lavoratore e, infine ma non per questo meno importante, alla carenza di informazione del lavoratore riguardo alla problematica della sicurezza nel luogo in cui esso svolge la sua attività.

Sicuramente molto è stato fatto dal punto di vista legislativo per garantire la sicurezza nel luogo di lavoro ma poiché si tratta di un argomento sempre più vario e complesso, anche se buoni risultati sono stati raggiunti, rimane sempre una lacuna da colmare. L’infortunio sul lavoro, infatti, può sempre verificarsi per svariate cause, quali un uso improprio delle macchine, la fatalità, la superficialità nelle operazioni.

Le malattie professionali, invece, che si manifestano solo dopo una prolungata esposizione ai fattori di rischio, talvolta potrebbero essere evitate non sottovalutando il fattore di rischio stesso.

Nella filiera agrumaria, in particolare per l’industria di trasformazione, problemi sono stati rilevati per ciò che concerne le strutture, spesso inadeguate e fin troppo adattate ad ospitare macchine ed operatori. Mancano, infatti, dei più elementari accorgimenti per la sicurezza (quali per es. i pavimenti antiscivolo e le relative pendenze per convogliare i liquidi verso le opere di smaltimento) e gli impianti elettrici dovrebbero essere revisionati o, comunque, messi a norma. D’altro canto le macchine, spesso obsolete e difformi dalla Direttiva Macchine 459/96, mancano di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria atti a garantire il loro mantenimento e funzionamento che le porta ad essere sorgenti di rischio anche per ciò che concerne le emissioni rumorose.

Uno dei fattori di rischio maggiormente evidenziati è l’esposizione prolungata a fonti di rumore di elevata entità. Studi finora condotti hanno mostrato come spesso, in prossimità delle macchine (quali separatori centrifughi, nastri elevatori, raffinatrici, ecc.), siano stati misurati livelli sonori superiori a 90 dB(A) e conseguentemente il livello di esposizione personale quotidiana al rumore degli operatori addetti alle macchine risultava essere anch’esso superiore ai limiti imposti dalla normativa.

Le condizioni microclimatiche osservate all’interno dei locali che ospitano le macchine non sono tali da garantire il benessere dei lavoratori (sbalzi termici, valori elevati di umidità, scarsa luminosità). Accanto ai rischi per la sicurezza e per la salute del lavoratore sinteticamente menzionati, bisogna mettere in conto i rischi derivanti da un’organizzazione del lavoro errata o comunque non al passo con i moderni standard di ergonomia e comfort. La collocazione delle macchine, infatti, all’interno dei locali, è bene puntualizzare, non sempre rispetta il flusso logico delle lavorazioni e, se volessimo parlare di densità di macchine all’interno dei locali, questa sarebbe sicuramente elevata con le naturali conseguenze (elevato livello di inquinamento acustico, spazi angusti in cui muoversi, ritardi e difficoltà nella manutenzione ecc.).

In relazione ai differenti fattori di rischio analizzati nella filiera dell’industria agrumaria, scarsa è l’informazione degli operatori e, di conseguenza, scarsa si è rivelata l’attenzione degli stessi al problema, a nostro avviso il più rilevante, dell’esposizione al rumore, in quanto la stragrande maggioranza di essi non faceva uso di otoprotettori.

Per l’industria della trasformazione degli agrumi, sarebbero auspicabili i seguenti accorgimenti:

– una maggiore attenzione nella collocazione delle macchine all’interno degli impianti, (lasciare per quanto possibile corridoi tra le stesse e fra queste e le pareti, installare i nastri elevatori in modo da ridurre il più possibile l’altezza di caduta nelle tramogge di alimentazione);

– dove necessario, usare materiali fonoassorbenti per schermare macchine o parti di esse più rumorose;

– effettuare la manutenzione delle macchine in conformità al libretto di istruzioni, con particolare riguardo ai componenti più facilmente usurabili (cuscinetti, ingranaggi, eccentrici);

– garantire l’alternarsi dei lavoratori in modo da ridurre l’esposizione ad agenti fisici o almeno limitare al minimo il numero di lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio;

– fornire gli operatori dei DPI e responsabilizzarli nei confronti dei rischi cui sono sottoposti mediante l’organizzazione di corsi di formazione periodici;

– dotare gli impianti di apposita segnaletica di sicurezza (cartellonistica, perimetrazione delle aree ad alto rischio, segnaletica orizzontale, dispositivi di segnalazione acustica);

– aumentare i controlli.

Esempio di scheda di sicurezza

Bibliografia relativa alla filiera

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